Nero di maggio – Recensione da “Grazia”

Trionfa in libreria il thriller di costume: tra efferati delitti nella Roma antica, tenebrosi intrighi medievali, indecifrabili enigmi etruschi. Con detective che si chiamano Aristotele (sì, il filosofo) e Publio Aurelio Stazio.

Di Alessandro Riva

LA STORIA? UN VERO GIALLO

Dimenticatevi di Aristotele il filosofo, il pensatore freddo che esercita la sua mente solo su principi astratti, il ponderoso personaggio che i libri di scuola ci hanno abituato a conoscere. Oggi è tornato a essere una figura viva, un filosofo, certo, che però non disdegna di occuparsi di fatti e fattacci della vita di tutti i giorni, Per esempio un omicidio.

È proprio questo Aristotele che, precorrendo i grandi detective della letteratura (da Sherlock Holmes a Maigret), segue le labili tracce nascoste nel frammento di un vaso trovato sul luogo di un delitto, si fa esperto conoscitore di tutti i generi di argilla e di tutti i metodi di lavorazione praticati dagli artigiani della Grecia; e che per riconoscere l’arma utilizzata in un omicidio si fa portare direttamente a casa centinaia di armi da ogni parte del mondo; o che; ancora, non disdegna di ricorrere a metodi un po’ spicci, come scoperchiare nottetempo le tombe nei cimiteri, per trovare le prove che scagioneranno un innocente. A trasportare sulla scena letteraria questa nuova figura di filosofo-detective è stata una studiosa canadese, Margaret Doody, insegnante di letteratura comparata e grande esperta della Grecia antica, che già una ventina d’anni fa decise di ambientare nella culla della classicità il suo primo libro giallo.
Nacque così Aristotele detective, uscito in Italia una prima volta nel ’78 senza grande successo, e solo oggi riportato alla luce da Sellerio, che, cavalcando quello che si sta configurando come il vero fenomeno letterario di questi ultimi anni – il giallo storico – ne ha fatto un piccolo best seller e un caso editoriale. Oggi Margaret Doody è diventata un’autrice ricercatissima in tutto il mondo, e non solo dai fan delle detective story, e a quel primo romanzo hanno fatto seguito altri due: Aristotele e il giavellotto fatale e Aristotele e la giustizia poetica, che portano il filosofo peripatetico alle prese con ulteriori avventure tra morti atroci e misteriose, truffatori e ladri internazionali, ereditiere scomparse e spioni d’ogni genere.

Le ombre della classicità

Per tutti, la formula è tanto all’apparenza semplice quanto in realtà spericolata: una ricostruzione fedele delle abitudini e dei costumi della Grecia del IV secolo a.C., una fedeltà di fondo verso la figura del filosofo della Poetica, unite però a una trama impeccabile e complessa, ricca di colpi si scena e di invenzioni, tenuta sempre sul filo di una suspense che non ha niente da invidiare ai thriller di Patricia Cornwell. Un azzardo? Forse non più di tanto, se è vero che, dal successo del Nome della Rosa in poi, il giallo storico, che sia ambientato nella Grecia o nella Roma Antica, nell’Inghilterra medievale o nell’Europa ai tempi delle Crociate, sta cominciando ad avere una schiera di fan sempre più agguerrita. In Italia, a praticare il genere con maggior successo sono Valerio Massimo Manfredi, grande esperto dell’antichità ma attento anche ai meccanismi della detective story (è appena uscito per Mondadori il suo Chimaira, che parte dalla Volterra di oggi per scavare tra le ombre della civiltà etrusca), e Danila Comastri Montanari, ormai riconosciuta universalmente come la migliore interprete italiana di questo bizzarro sottogenere del poliziesco, di cui Hobby & Work ha appena mandato nelle librerie Scelera, l’ottava avventura del suo senatore-detective Publio Aurelio Stazio. “Che il giallo classico possa tranquillamente essere ambientato in epoche antiche non è una cosa poi così stravagante”, spiega Comastri Montanari. “perché la Grecia e Roma sono civiltà fondamentalmente razionali, basate sulla logica e sulla ragione. E la detective-story classica è per sua natura, un esercizio strettamente razionale”.

Logica e intuito

Non è strano, allora, trovare un senatore romano che si comporta come un vero e proprio detective contemporaneo, che si china a raccogliere frammenti di tessuto sulla scena di un delitto, e interroga i testimoni con un piglio degno di Perry Mason. “Del resto” sottolinea Comastri Montanari, “Al giorno d’oggi, in tempi di esame del Dna e di strumenti elettronici, il classico investigatore con la lente sarebbe una figura un po’ datata e anacronistica. Meglio allora riportarlo indietro nel tempo, quando non c’erano ancora i mezzi tecnologici attuali e l’investigatore poteva utilizzare solo la logica e l’intuito. Tanto più che il pubblico è stufo di leggere storie iperrealistiche, che fanno concorrenza alla cronaca dei telegiornali, e ha voglia di un po’ di sana evasione. E allora che cosa c’è di meglio che un salto nella storia antica per evadere?”

Duemila anni fa

Già forse anche in questo risiede il segreto del successo dei tanti gialli a sfondo storico che affollano le librerie italiane: nel desiderio di trovare altri scenari rispetto a quelli, oggi ormai un po’ abusati, della metropoli violenta piena di psicopatici e serial killer.
Ed è certo che gli scenari che i gialli antichi ci offrono sono più che suggestivi. Nulla appare più affascinante, infatti, che immaginarsi, complice una storia dalle tinte forti, come doveva essere l’Italia di duemila anni fa, ai tempi della decadenza dell’Impero romano, tra senatori avidi e corrotti e matrone in cerca di avventure facili, o, prima ancora, ai tempi in cui splendeva la civiltà etrusca. E proprio alla civiltà etrusca ha guardato, per il suo ultimo romanzo, Valerio Massimo Manfredi, che col suo Alexandros ha venduto2 milioni e mezzo di copie in tutto il mondo. “In un’epoca di globalizzazione sempre più incalzante, tornare a vedere come vivevano e pensavano gli antichi è un modo anche per ritornare alle proprie radici, per interrogarci sul luogo da cui proveniamo”, dice Manfredi. ” il giallo è il mezzo più incalzante ed emozionante per far vivere dall’interno i costumi di un’epoca che, se studiata freddamente sui libri di storia, rischierebbe di apparire noiosa e lontana da noi” Un discorso che si può applicare anche alla storia più recente e controversa: per esempio il ventennio fascista. Un pezzo del nostro passato prossimo che fa da sfondo a un numero ormai nutrito di gialli. Come Nero di maggio di Leonardo Gori (Hobby & Work), ambientato nella Firenze in camicia nera del 1938.

Nero Medioevo

Ma c’è un’epoca prediletta da molti autori di thriller storici, l’epoca “nera”per eccellenza: il Medioevo. “d aprire la strada al giallo medievale è stato il successo del Nome della Rosa” racconta Luigi Sanvito della Hobby & Work, editore di numerosi romanzi che prendono spunto proprio dalla storia dei “Secoli bui” come la serie di Mastro Corbett di P.C. Doherty, di cui è da poco uscito La corona delle tenebre (mentre fra poco sarà in libreria Delitto nella cancelleria).
“Quello che è certo è che il filone è in ascesa. Soprattutto in Italia, dove fino a qualche anno fa l’idea di ambientare un giallo in epoca antica sembrava un’eresia” Così dalle vicende di Fratello Cadfael di Ellis Peters pubblicate da Longanesi (è appena uscito La missione di Fratello Cadfael) alle avventure di Jonah Toledano ne Il medico di Saragozza (Rizzoli) di Noah Gordon, fino alla Lingua rubata di Sheri Holman (Ponte alle Grazie), gli scenari gotici delle saghe medievali sembrano destinati a diventare sempre più il terreno su cui i giallisti amano affilare le loro armi.

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