Nero di maggio – Recensione da M Rivista del mistero

LEONARDO GORI NERO DI MAGGIO, HOBBY & WORK LIRE 28.0OO

Fa sempre piacere segnalare un nuovo autore, specialmente se tenta, con I’ opera prima, una via non troppo battuta. È il caso di Leonardo Gori, fiorentino, quarantaquattrenne, esperto di fumetti e di narrativa di genere, che ambienta il suo primo romanzo nella Firenze del 1938, nelle due settimane che precedettero la visita di Hitler, il 9 maggio di quell’anno. La tappa fiorentina fu, in un certo senso, il culmine della visita di stato del Fuhrer in Italia, un evento che segnò la fine delle diffidenze mussoliniane verso la Germania e I’avvicinamento definitivo tra fascismo e nazismo, prodromo di tante future catastrofi. E l’autore, che ha evidentemente alle spalle un grosso lavoro di documentazione, sa cogliere la drammaticità del momento. Naturalmente, l’idea di ambientare un giallo in quegli anni bui non rappresenta, in sé una novità assoluta. Ci hanno giàprovato, tra gli altri, Carlo Lucarelli ed Edoardo Angelino. Ma è la prima volta che un thriller cerca di penetrare nei meccanismistessi del regime fascista, mettendone al centro i protagonisti e demistificandone le pretese politiche e culturali. Il capitano Arcieri, dei Reali Carabinieri, che si vede sollevare dall’indagine sull’assassinio di due prostitute per essere adibito alla protezione personale di un’altissima personalitàpresente a Firenze per I’ occasione, finirà con il mettere in luce, suo malgrado, un verminaio di rivalità tra gerarchi, scheletri negli armadi, avidità ricatti e vendette che dàun’idea molto precisa della natura criminale di quel sistema di potere. Demistificazioni ideologiche a parte, Nero di maggio è un romanzo ben costruito, che non si affida solo alla ricostruzione d’epoca, ma conta su un cast di personaggi credibili e una trama ben articolata. Pazienza, così se la sottotrama sentimentale, tutto sommato, è superflua, se la conclusione èun tantino affrettata e se nella scrittura siinsinua, ogni tanto, qualche languore del tipo “sent i ìsensi che prendevano congedo da lui”. Nel complesso, il risultato è positivo. Èun peccato, quindi, che l’editore abbia sentito il bisogno di guarnirlo con una pretenziosa postfazione accademica in cui non si manca mai di scrivere “giallo” tra virgolette e si sente il bisogno di informarci che organizzare una trama attorno a un’inchiesta di polizia significa seguire la “falsariga dei thriller statunitensi”, come succederebbe, peraltro, nei “libri di Andrea Camilleri, che tanto successo hanno riscosso in questi ultimi anni”. Al nostro nuovo autore ci permettiamo di raccomandare, se vuole continuare per la sua strada, di liberarsi di certi padrini.

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